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La libertà di stampa e i rischi del mestiere di giornalista.

Di
Redazione
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15 Novembre 2020

Di Ettore Minniti

L’articolo 21 della Costituzione recita che Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Eppure troppi sono, oggi, i giornalisti sottoposti a minacce, aggressioni, intimidazioni anche di natura mafiosa e tanti altri sottoposti a censura.

Preoccupa il numero dei giornalisti minacciati in Italia nei primi mesi del 2020. Cresce il numero delle giornaliste prese di mira con epiteti sessisti. L’Osservatorio sui giornalisti minacciati voluto dal Ministero dell’Interno ha stilato un elenco delle aree più a rischio per i giornalisti nel 2020. Un lavoro dura e rischioso, soprattutto nelle regioni Lazio, Campania, Sicilia, Calabria e Lombardia. La provincia più colpita è Caserta, ove regna incontrastato il clan dei Casalesi. In questa Provincia sono 12 i giornalisti ad oggi che vivono sotto protezione, di cui 3 sotto scorta. I numeri sono preoccupanti: nei soli primi sei mesi del 2020 sono già 83 gli episodi di minacce denunciati nei confronti di giornalisti. E poi ci sono le giornaliste prese di mira con epiteti sessisti.

Sono tanti troppo gli episodi di violenza e minaccia verso coloro che svolgono questo lavoro. Come non ricordare la morte di Daphne Caruana Galizia a Malta nel 2017 per aver svelato i legami tra le mafie italiane, la criminalità internazionale e la corruzione dell’isola.Le minacce nei confronti di  Nello Scavo, cronista dell’Avvenire, che con le sue inchieste, aveva proseguito il lavoro fatto dalla Daphne, svelando gli illeciti, le truffe, e la crudeltà nella gestione dei migranti e dei respingimenti, a Malta e non solo. Senza dimenticare che a Mogadiscio in Somalia nel 1994 moriva Ilaria Alpi, giornalista del TG3, e il cameraman Miran Hrovatin, i quali  vennero uccisi perché sulle tracce di un traffico internazionale legato ai rifiuti. In questi giorni Il giornalista di SkyTg24 Paolo Fratter e la troupe aggrediti e inseguiti in diretta durante le proteste a Napoli. Anche Vittorio Brumotti, l’inviato di Striscia la Notizie e campione di bike trial, ha subito la stessa sorte.  E casi come questi se ne registrano tutti i giorni.

28 i giornalisti italiani uccisi dal secondo dopoguerra ad oggi, tra questi, senza voler far torto, agli atri ricordiamo Impastato, Fava e Rostagno.  

Caso rappresentativo il giornalista e scrittore Paolo Borrometi che vive sotto scorta per aver osato parlare di criminalità organizzata nelle città di Pachino, Scicli e Vittoria.

Il Procuratore della DIA di Catania, che indaga sulla mafia delle province di Siracusa e Ragusa, riferisce sui rischi per la vita di Borrometi, riferisce che: “se c’è un giornalista che rischia la vita in Italia questo è Paolo Borrometi“. Vive con cinque condanne a morte da quattro clan diversi.

In una recente intervista ha affermato: “In certi territori è un obbligo parlare di mafia. E’ ovvio parlare di mafia a Palermo, Catania, Trapani. Difficile parlare in un territorio dove la mafia è ricchissima come Siracusa e Ragusa, perché vi è una mafia diversa ch continua a fare affari ad altissimo livello, tocca i livelli più alti dell’imprenditoria, della c.d. società civile e della politica. Ho trovato un muro di gomma, perché in quelle realtà non si era abituati a parlare di mafia. Per fortuna mi ha riabilitato, rompendo l’isolamento in cui vivevo, il Presidente della Repubblica Mattarella. Questi territori hanno bisogno di un giornalismo libero”.

Le leggi fasciste imbavagliarono la libertà di stampa, libertà ripristinata con la Repubblica. Una larga maggioranza dei costituenti, con ampia intesa tra forze progressiste e moderate, individuònella libertà di stampa uno dei cardini del nuovo stato democratico.

Sulla base di questa visione restrittiva del diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero, una larga e trasversale parte delle forze politiche ha sempre trovato motivi per restringere la libertà di espressione, soprattutto in campo radiotelevisivo, tant’è che essa pare a essere gestita in maniera monopolista. Tanti, troppi i giornalisti condannati per reati d’opinione. I piccoli editoridell’informazione, soprattutto quelli locali, non sono aiutati; al contrario le Autorità Governative fanno di tutto per farli tacere, nonostante essi siano presidio di democrazia.

Alla luce di quanto narrato, tanti appaiono i rischi della professione giornalistica: informare e comunicare come uomini liberi e forti appare una mission impossibile.