di Antonello Longo
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Finisce un anno tragico. A far capire il peso della pandemia sul nostro Paese basta la triste contabilità dei decessi. Dall’inizio dei contagi in Italia, a causa del virus Sars-CoV-2 sono morte circa 72mila persone. Nei sei anni della seconda guerra mondiale le vittime civili furono 153.147. Non si conta più il numero complessivo dei ricoverati nelle corsie e nelle terapie intensive degli ospedali.
Nell’anno della pandemia, l’economia italiana ha visto diminuire il Pil, cioè la ricchezza prodotta, del 9,1% e il debito pubblico, che alla fine del 2019 era al 135% del Pil e valeva circa 2.410 miliardi di euro, alla fine del 2020 si assesta attorno al 160%. A fine ottobre, secondo i dati diffusi dalla Banca d’Italia, il debito aveva raggiunto la cifra stratosferica di 2.587 miliardi. Il rapporto deficit-Pil, che nel 2019, con immane fatica, era stato mantenuto all’1,6%, è schizzato ora all’11,1%. (Il debito pubblico è il totale delle somme dovute dallo Stato ai suoi creditori. Il deficit pubblico è dato, invece, dalla differenza fra quanto viene incassato e le spese sostenute dallo Stato).
La pandemia ha gettato una luce cruda su tutte le carenze, le debolezze, le contraddizioni del sistema-Italia, dalla sanità agli apparati pubblici, dal credito alla previdenza, dalle infrastrutture alla scuola, dal tessuto produttivo ai servizi locali. E, in uno Stato inefficiente, la pressione fiscale è alle stelle.
Sul nostro Paese si addensano nuvole fosche, in primavera ed in estate scadranno molte delle proroghe contenute nella legge di bilancio, in primo luogo quelle del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione Covid, non si contano le imprese e i comuni sull’orlo del default, il nodo delle autonomie differenziate, stralciato dalla sessione di bilancio, verrà presto al pettine col suo carico di rischi per la coesione nazionale.
La distanza tra Nord e Sud è destinata ad aumentare ancora, alle nuove povertà dilaganti farà da contraltare una sempre maggiore polarizzazione delle ricchezze, mentre ciò che si salverà del mondo del lavoro continuerà a fare i conti con la precarietà, le basse retribuzioni, la mancanza di diritti.
Intanto i contagi, i ricoveri, i decessi non si fermano ed è facile prevedere che dureranno ancora per molti mesi.
In un quadro così fosco le speranze sono due: i vaccini ed i fondi europei. Su tutt’e due i punti ci si poteva aspettare che la politica facesse blocco, superando polemiche e interessi di parte. Niente affatto. L’avvio della campagna di vaccinazione, per quel tanto di spettacolarizzazione che se ne è fatto, è stato messo astiosamente alla berlina, mentre si sprecano le critiche, i confronti improponibili con la Germania e altre realtà, le reticenze e le diffidenze che lisciano il pelo ai no-vax.
Sul Recovery plan italiano, cioè sulle scelte per la destinazione e la gestione dei fondi del programma Next Genaration EU, siamo sull’orlo di una crisi di governo, provocata dalle recondite mire del gruppo di Matteo Renzi.
L’Europa è stata spinta dalla pandemia a cambiare la sua politica di rigore, mettendo da parte il trattato di stabilità e sviluppo e decidendo di spostare un’incredibile massa di risorse per gli investimenti degli Stati membri, anche in deficit, destinati a sostenere l’economia, a evitarne il tracollo e rilanciarne la ripresa. L’Italia, con i suoi 209 miliardi, è la maggiore beneficiaria del programma. Bisogna saper spendere e fare presto: destabilizzare il quadro politico in questo momento vuol dire mettere seriamente a rischio l’intervento europeo.
È vero che la maggioranza di governo è debole, fragile, contraddittoria, che la patente disomogeneità tra le forze che la compongono provoca un deleterio, perdurante stato di impasse. Ma pensare di aprire una crisi (o anche soltanto minacciare di farlo) in questo momento è da irresponsabili, se non altro per la perdita di tempo che provocherebbe, con la prospettiva folle di uno scioglimento delle Camere e di elezioni politiche sotto pandemia, bruciando mesi nell’unica fase in cui all’Italia è concesso di spendere.
Forse Renzi, il cui partito tutti i sondaggi collocano fuori dal prossimo Parlamento, per fare i suoi giochi conta proprio sull’impossibilità di andare al voto in assenza di una legge elettorale praticabile alla luce del taglio dei parlamentari. Quindi, potrebbe pensare il nostro, sarebbe giocoforza rabberciare un nuovo esecutivo con lo scopo precipuo di definire la legge elettorale, poi, da agosto, scatterà il semestre bianco…. Insomma, politica politicante, interesse di bottega, piccolo cabotaggio, di fronte al dramma che stanno vivendo gli italiani, che da un pezzo, ormai, non riescono a vedere nella politica disinteresse e senso dello Stato.
Il Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha dichiarato ieri che non si presterà a giochi di palazzo, che di fronte al disimpegno di una componente della maggioranza è pronto a presentarsi in Parlamento per chiedere la fiducia, in modo che ciascuno dovrebbe assumersi scopertamente le proprie responsabilità.
Staremo a vedere, intanto salutiamo il 2020 senza alcun rimpianto e speriamo che il 2021 ci porti la fine dell’incubo Covid, di non dover più rivivere in futuro una notte di San Silvestro così solitaria e triste.
Dal QdC giungano a tutte e a tutti gli auguri più fervidi di buona fine e buon principio d’anno.