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Crisi: gli interessi sullo sfondo dello scontro personale

Di
Redazione
|
14 Gennaio 2021

di Antonello Longo
direttore@quotidianocontribuenti.com

La crisi politica aperta da Italia viva ha tutta l’apparenza di un redde rationem, di uno scontro frontale e personale tra Matteo Renzi e Giuseppe Conte. I comportamenti dell’uno e dell’altro suffragano quest’impressione.
Nella conferenza stampa di ieri Renzi ha avanzato ragioni di metodo e di merito. Sul metodo il j’accuse del senatore toscano nei confronti del premier è stato violento, con pochi giri di parole è stata contestato a Conte di avere arrecato “un vulnus alle regole della democrazia” accentrando su di sé “pieni poteri”, a partire dai servizi segreti, usando i decreti in contrasto con la Costituzione, commissariando la gestione delle emergenze a scavalco della trasparenza delle procedure senza sbloccare opere e cantieri, abusando degli show televisivi a reti unificate, non condannando con la necessaria durezza il comportamento di Trump che ha portato all’assalto al Parlamento americano e, infine, sopprimendo di fatto il bicameralismo in occasione del voto sulla legge di bilancio, quando il Senato non fu messo in condizione di esprimersi sulla manovra.
Nel merito Renzi ha detto che il governo non può reggersi sull’emergenza. Il Recovery plan è migliorato ma ci vuole anche il Mes sanitario, la riforma della giustizia ha un impianto “giustizialista”, servono meno bonus e più investimenti. In motivo per cui si spendono miliardi per il cashback ma non si prende il Mes, per Renzi è “ideologico”. Conclusione: irresponsabile è andare avanti in questo modo, Italia viva apre la crisi perché ha “coraggio, libertà interiore, senso di responsabilità”.
Giuseppe Conte sta maturando in queste ore, a quanto pare, l’idea di rendere parlamentare la crisi, non presentando le dimissioni prima di essere andato davanti al Parlamento per inchiodare i renziani alle loro responsabilità e sperare di racimolare in Senato i voti per andare avanti.
Al di là delle frasi di circostanza, Renzi ha fatto capire che l’unico modo per ricucire la vecchia maggioranza (M5S, PD, Italia viva e LEU) è togliere di mezzo Conte e trovare un altro premier, altrimenti bisognerà cercare una nuova maggioranza “ci sono mille soluzioni possibili”, dice, “ma non governeremo con la destra”. Quindi delle mille soluzioni quella che sta in piedi è solo una: il governo tecnico che potrebbe ottenere i voti in Parlamento senza impegnare le forze politiche che lo sostengono in un patto di maggioranza.
Inutile scervellarsi su quello che accadrà nei prossimi giorni o nelle prossime ore, aspettiamo prima le scelte di Conte, che certamente saranno prese assieme agli alleati che, per il momento, ancora gli assicurano sostegno e poi le decisioni del Presidente della Repubblica.
Importante, invece, mi sembra ragionare sui motivi veri, profondi, della crisi di governo, considerando fattori diversi.
Innanzi tutto il fattore umano. Matteo Renzi ha messo se stesso e il suo partito al centro della vicenda politica e dell’attenzione dell’opinione pubblica. Il “rottamatore” che dopo il trionfo da presidente del consiglio e leader del PD alle elezioni europee del 2014 sembrava destinato a rappresentare a lungo la nouvelle vague della politica italiana e invece è andato a sbattere contro la risposta popolare al referendum con cui voleva stravolgere la Costituzione ed ha finito per cucirsi addosso la solida fama, non immeritata, di uomo guidato da un ego ipertrofico, imprevedibile e infido. La nascita, da lui avviata, e adesso la morte, da lui decisa, del governo Conte-due, è stata per lo scaltro fiorentino l’occasione d’oro per recuperare un peso determinante sulla scena politica. Davvero aprendo la crisi è pronto a privarsi di un tale ruolo per motivi di coscienza? Difficile crederlo, conoscendo il personaggio.
Risalta, poi, il fattore tempo. Viste anche le motivazioni addotte, la crisi poteva essere aperta nei mesi scorsi, adesso il momento è di certo il meno adatto per lasciare l’Italia senza un governo nella pienezza dei suoi poteri. La pandemia, come ha detto ieri mattina in Parlamento il ministro della Salute, Speranza, è ritornata in una fase critica, è il momento della massima emergenza non solo dal punto di vista sanitario ma anche sul piano sociale ed economico.
Nei prossimi mesi, per trasformare l’impiego delle risorse provenienti dall’Europa in vere e autentiche strategie di politica economica, sotto l’occhio vigile Commissione europea, dovrà essere varata una pioggia di leggi, decreti e atti amministrativi altrimenti molti progetti non saranno mai realizzati.
La macchina degli aiuti anti-Covid, per quanto Renzi abbia assicurato il sostegno ai provvedimenti più urgenti, cioè almeno un nuovo scostamento di bilancio da circa 24-25 miliardi, il varo del quinto decreto Ristori e un nuovo decreto per le restrizioni anti-contagio, fatalmente il percorso della crisi politica, quale che sia, comprometterà i tempi di attuazione degli interventi.
Allora perché assumersi adesso la responsabilità di una crisi al buio, bruciando anche quella possibilità di una crisi-lampo prospettata da Mattarella?
Simili perché, a loro volta, fanno nascere un altro interrogativo nella risposta al quale chi scrive questa nota vede il nodo vero della crisi che oggi deflagra, celato dietro lo scontro personale e la zuffa tra partiti: chi sono i veri nemici di Conte, quali interessi sostanziali sono stati toccati dalle scelte politiche del governo Conte-bis?
Quello che si consuma “a monte” della politica è un contrasto duro sul modo di impiegare le risorse pubbliche, gli aiuti europei, le stesse spese che, nella fase presente, l’Europa ci consente di effettuare in debito: per gli ambienti confindustriali e dell’alta finanza i soldi spesi in misure assistenziali e, soprattutto le risorse, gli incentivi e gli sgravi fiscali dirottati (sia pure molto timidamente) al Sud d’Italia non sono altro che sprechi, spese improduttive, utili solo alla propaganda politica. Per questi ambienti lo sviluppo del Paese è legato solo all’industria ed all’impresa economica concentrata nel Nord, che sente fortemente a rischio il suo ruolo di volano trainante dell’economia e dell’occupazione.
A torto o a ragione Giuseppe Conte, a differenza di tanti suoi predecessori, non è stato del tutto prono né ai voleri di Confindustria né a quelli dei sindacati.
Ecco: dal reddito di cittadinanza ai contributi a pioggia distribuiti e-o promessi dal governo a sostegno delle famiglie e delle categorie sociali più colpite dalle misure restrittive legate all’emergenza sanitaria, dalle modalità “commissariali” seguite per acquisti e forniture nella sanità al sistema delle concessioni, tutto è sembrato un’indebita sottrazione agli interessi industriali e settentrionali.
Ecco che acquistano un senso preciso le parole di Renzi, quando dice che proprio questo è il moneto di stoppare il governo Conte, perché non si può più perdere tempo, i prossimi mesi saranno cruciali per spendere una massa di denaro mai vista nella storia repubblicana e perché centinaia e centinaia di nomine saranno determinanti per la governance delle spese con fondi europei.
Matteo Renzi non è il “bullo” che viene descritto, certo il suo ego è smisurato, ma c’è del senno nella sua apparente follia, è convinto di avere un disegno strategico che potrebbe riportarlo in alto. Egli è stato nello scorso decennio interlocutore diretto di tutti gli interessi forti del Paese ed ha oggi la necessità di fornire un habeas corpus alla forza politica fatta nascere dalla scissione col PD. È un interesse che non collima con quello generale del Paese, col momento di grave emergenza? Non importa, è comunque il momento giusto per rendersi benemerito agli occhi di una parte dell’economia nazionale, ma anche internazionale, che non può fidarsi fino in fondo della destra sociale, populista e nazionalista che si candida prepotentemente a governare l’Italia nei prossimi anni o, forse, già nei prossimi mesi.
È quel disegno di “grande centro” nel cui spazio virtuale sono tanti a sgomitare per accaparrarselo, in cui per Renzi il neofita Conte è un concorrente pericoloso, come lo sono il PD e la parte governativa del M5S.
Restate collegati, ne vedremo delle belle.