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MES e RECOVERY FUND: la triste realtà oltre le liti, le baruffe e le polemiche

Di
Redazione
|
20 Dicembre 2020

MES e RECOVERY FUND: la triste realtà oltre le liti, le baruffe e le polemiche

di Giulio Bassi

Chi fa comunicazione sa bene che una delle tecniche della propaganda sta nel fornire una sola verità verificabile, contornandola di frasi ad effetto che stupiscano ed indignano, all’unico scopo di  far passare questo o quel messaggio utile al perseguimento dei propri obiettivi.

Su Mes e Recovery Fund da mesi siamo bombardati da articoli, video e trasmissioni televisive che ci danno diverse versioni dei fatti con alcune verità di superficie contornate da una serie di imprecisioni, inesattezze, sentenze e frasi suggestive che spingono chi ascolta alla completa confusione. Ecco allora che parlando di Mes di Recovery ci si concentra sulle polemiche tra tifosi: europeisti e sovranisti, traditori e coerenti, maggioranza ed opposizione, tra chi parla di un futuro privo di rischi e chi parla di un futuro grigio e tempestoso, chi tifa per Olanda o chi per Polonia.

Qualsiasi giudizio dovrebbe invece basarsi sulle questioni di sostanza, isolando le questioni di superficie (sebbene singolarmente importanti) e dovrebbe fondarsi sui principi in grado di rendere stabili le nostre opinioni e non farle vacillare a seconda di come tira il vento.

A questo proposito potrebbe essere interessante fare un esempio e raccontare la storia di un’azienda che negli anni ’60, sfruttando le innovazioni tecnologiche del tempo, inizia a produrre il “mangiadischi”. Grazie a questo gioiello di design e tecnologia la società ebbe immediatamente un grande successo che le permise di produrre redditi cospicui e accumulare fondi.

Al culmine del suo successo l’Amministratore delegato, nominato dai soci, ritenne di utilizzare quella ricchezza per assumere alcuni nuovi dipendenti direttamente indicati dai singoli soci interessati a “sistemare” amici, per costruire una nuova sede sottoscrivendo un mutuo ipotecario ed infine per acquistare un aereo privato per poter raggiungere più facilmente i clienti sui mercati internazionali. I soci, visto l’andazzo chiesero di essere assunti come dirigenti pretendendo macchine aziendali e rimborso delle spese. Questa gestione continuò per decenni appesantendo la struttura, utilizzando fondi guadagnati in anni “grassi” ed indebitando la società al solo scopo di far fronte a tutti gli impegni assunti per favorire questo o quel socio, questo o quel fornitore, questo o quell’amico. Le vendite venivano sostenute da semplici “maquillage” di prodotto senza investire in ricerca e innovazione.

A fine anni novanta questa società, una volta fiore all’occhiello della tecnologia e dell’innovazione, si trova ad avere esaurito i fondi guadagnati negli anni d’oro, ad essersi indebitata per aver appesantito eccessivamente la struttura e soprattutto ad avere ricavi pressoché nulli. La concorrenza nel frattempo si era attrezzata su nuove e più moderne tecnologie (mangianastri walkman, cd e poi

file mp3) che avevano completamente soppiantato la tecnologia dei mangiadischi.

La società in questa situazione aveva due opzioni:

1) nominare un nuovo Amministratore delegato in grado di redigere un piano di ristrutturazione, rilancio e di investimenti in grado di invertire la rotta e  chiedere nuovi fondi ai soci ed alle banche. Per avere successo la società avrebbe dovuto sottostare a condizioni precise per l’utilizzo dei fondi ed i soci avrebbero dovuto fare un passo indietro lasciando operare l’Amministratore delegato secondo i piani approvati evitando di intervenire sulle decisioni “quotidiane” con richieste dettate da singoli interessi.

2) affrontare il proprio “default” sapendo che in questo caso la gestione del know how, delle strutture, della liquidità residua sarebbero state affidate ad un tecnico autonomo ed esterno non sindacabile nelle sue decisioni se non per il controllo che sulle stesse sarebbe stato fatto da un giudice esterno.

Stiamo parlando di una società oppure dell’Italia? Stiamo parlando di soci o di cittadini e, con essi, dei rappresentanti che gli stessi mandano in Parlamento? Stiamo parlando di piani aziendali o di Recovery Fund? A voi la risposta.  

C’è inoltre un altro aspetto da considerare: parliamo del diritto di vedere soddisfatto il proprio credito, un diritto che chi lavora negli uffici professionali, nelle officine, nelle imprese conosce bene. Siamo i primi a “condizionare” i soldi che diamo ai nostri figli purché “non li buttino in cose futili”.

Sappiamo benissimo che, se andiamo in banca, il nostro potere contrattuale è tanto più forte quanto più siamo “affidabili”, quanto più abbiamo i conti a posto e quanto più possiamo garantire la serietà, efficacia e realizzabilità dei nostri piani aziendali… e quindi, ditemi, perché gli altri non dovrebbero agire così con noi?

È triste doverlo dire, ma l’Italia è oramai inaffidabile, perché negli anni si è dimostrata incapace di gestire le proprie ricchezze, incapace di programmare e pianificare, incapace di usare la liquidità e di distribuirla in modo efficace ed efficiente.

Triste dirlo, ma anche ognuno di noi ha la sua responsabilità perché la prima scelta la facciamo noi alle urne. Triste dirlo, ma dobbiamo ammettere che forse i primi siamo noi a non volere accettare decisioni che vanno a favore del futuro dei nostri figli, per i quali dovremmo dimenticare i nostri singoli interessi. L’Italia, già dagli anni ’70, non ha più avuto una visione sul suo futuro e non ha fatto piani industriali seri con visibilità pluriennale, sprecando così occasioni, risorse, eccellenze, distruggendo know how, capacità imprenditoriali e tutte quelle ricchezze che la natura e la storia le avevano concesso almeno sino agli anni ‘60. L’Italia è stata gestita giorno dopo giorno, tappando buchi, seguendo interessi singoli e momentanei consensi e appesantendo la propria struttura con promesse e favori.

Già prima della pandemia il debito pubblico rappresentava oltre il 130% del PIL… dopo la pandemia le stime più ottimistiche ipotizzano un rapporto tra debito pubblico e PIL del 160%. Un rapporto del genere schiaccerebbe qualsiasi attività. La colpa non può essere limitata alla semplice gestione finanziaria anche se è ovvio che pure quella ha un suo influsso… La colpa sta soprattutto nella gestione dell’economia reale e nella assoluta mancanza di programmazione, visione del futuro, ruolo dell’industria e dell’economia italiana.

Possiamo denunciare tutte le imprecisioni, tutte le storture nel sistema finanziario o negli accordi, tutte le cose che si potrebbero e si devono modificare e migliorare nella UE, ma, se prima non risolviamo il nostro difetto primordiale, qualsiasi manovra finanziaria non potrà che rendere il nostro paese ancora più dipendente dal debito pubblico a scapito della qualità della vita dei nostri figli.

Se pensate che oramai l’Italia è in crisi da circa 20 anni e la sua economia non cresce da così tanto tempo, potrete anche farvi un’idea di quanto potrà impiegare l’Italia a riportare il rapporto debito/PIL al famoso 60% come ci chiede la UE: 0,5% – 1% all’anno di miglioramento? Vuol dire impiegarci da 100 a 200 anni sempre che in questo periodo l’economia cresca costantemente ed in modo deciso. Potrà mai crescere l’economia senza una visione e piani industriali e di sviluppo a lungo termine? Possiamo pretendere che ci vengano prestati centinaia di miliardi senza fornire nessun piano di come li useremo?

Dopo queste semplici considerazioni invito tutti a leggere il testo della riforma del Mes (https://www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01132368.pdf) e a dare un’occhiata ai piani per l’utilizzo del Recovery Fund: solo dopo che ci saremo fatta un’idea propria, responsabile ed autonoma potremo comportarci di conseguenza la prossima volta che saremo chiamati a prendere le nostre decisioni.

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Source: Da QdC ad Imprese
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