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A che punto è Airbnb

Di
Redazione
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1 Settembre 2023

AGI – Il sogno di Airbnb è morto? A chiederselo è un’inchiesta di Businessweek, settimanale statunitense secondo cui “gli affitti a breve termine stanno andando forte, ma essere un host è diventato molto più difficile di quanto lo fosse in passato”. L’articolo racconta l’esperienza di una coppia, i signori Robertson, che ha deciso di comprare una seconda casa nel Minnesota decisi a ripagarne il mutuo tramite affitti brevi su Airbnb o Booking, “ma dopo dieci mesi le cose non sono andate come speravano”. Il motivo? “Zero prenotazioni”. Ma i signori Robertson non sarebbero gli unici ad accusare il colpo.

Attraverso le chat degli host il fenomeno è stato ribattezzato “Airbnbust”, neologismo che significa che l’eccessiva saturazione degli affitti a breve termine, combinata con la crescita e la stretta delle normative locali “ha reso più difficile il successo dell’investimento in affitti a breve termine”. C’è per esempio una chat all’interno della quale gli host piangono miseria e si disperano.

Sviluppo e crescita

Fondata nel 2008 per consentire ai viaggiatori di trovare luoghi unici e convenienti in cui soggiornare in tutto il mondo, dopo 15 anni Aribnb Inc. “non solo ha sconvolto il settore alberghiero con il suo successo – scrive la rivista – ma ha anche dato vita ad una categoria completamente nuova di acquirenti di case per fini speculativi: alcuni di loro hanno acquistato persino più proprietà, ristrutturandole, altri hanno investito in più case di quelle che potevano permettersi”.

Ma ultimamente, gli host si sono scontrati con una difficoltà insormontabile: “Gli affitti a breve termine a Orlando e nei sobborghi circostanti hanno visto i ricavi per camera diminuire del 6,4% nella prima metà di quest’anno” mentre secondo i dati compilati dall’economista Bram Gallagher presso la società di analisi AirDNA LLC “le entrate sono crollate rispettivamente del 17% e dell’8,7%” vicino al Joshua Tree National Park in California e in città come Gatlinburg e Pigeon Forge nelle Great Smoky Mountains del Tennessee.

Secondo il settimanale, tuttavia, l’azienda Airbnb sta ancora “raccogliendo i frutti per il grande interesse per i viaggi e le persone continuano a ricercare annunci in tutto il mondo”, tant’è che il sito ha registrato “115 milioni di pernottamenti” prenotati nel secondo trimestre, in crescita dell’11% rispetto a un anno fa”.

E anche il prezzo delle sue azioni è aumentato di oltre il 60% quest’anno”, in linea con un rapporto recente sugli utili che ha definiti il secondo trimestre dell’anno come “il più redditizio mai realizzato finora”. Però il mercato sta vivendo un gran trambusto, che secondo Businessweek “premierà chi ha la giusta posizione, i migliori servizi offerti e anche il miglior prezzo”.

Gli affitti a brevi vanno forte, ma si guadagna meno

Il punto è che una volta attenuatesi le restrizioni seguite al Covid, “le persone sono tornate alla loro vita precedente nelle città, hanno affittato le case che avevano acquistato, inondando il mercato”. Un eccesso di offerta che “ha portato a un calo fino al 13% delle entrate degli host in 32 dei 50 maggiori mercati di affitti a breve termine del paese nella prima metà di quest’anno”, si legge ancora, mentre “molti host hanno affermato di aver abbassato i prezzi per rendere i loro annunci più competitivi”.

Insomma, guadagnare bene con un affitto a breve termine “non è più così facile” e non basta più “lasciare la chiave nella cassetta della posta e le lenzuola pulite sul letto”. Le esigenze degli ospiti sono accresciute insieme alle aspettative. L’aumento della domanda e l’elevato turn over negli affitti, poi, ha fatto sì che molti host “siano arrivati a dipendere da società di gestione che si occupano della pulizia e della manutenzione aumentando di conseguenza le spese generali”.

Dal canto suo, Airbnb ha compiuto sforzi per aiutare gli host, raddoppiando il numero di agenti di supporto e creando un nuovo ruolo di responsabile globale dell’hosting e ha anche ha investito in strumenti algoritmici per stabilire i prezzi per gli host, a partire dal 2015, e per consentire loro di rimanere competitivi con gli hotel e altri annunci nell’ambito della loro zona d’influenza.

Annota su questo argomento la rivista online Ytali, che viene redatta a Venezia, città molto sensibile al tema Airbnb e dintorni, vivendo tra “desertificazione urbana e grande turismo”, che quello a cui si sta assistendo “è la fine della promessa di guadagni facili e immediati”.

Tant’è che in “molti hanno ridotto le tariffe, anche in modo considerevole. Altri sono costretti a fare investimenti migliorativi per far fronte a una concorrenza che si fa agguerrita e in un contesto in cui i clienti, che sono ancora tanti, sono sempre più esigenti, mentre riprendono forza gli alberghi, duramente colpiti nella prima fase espansiva delle piattaforme come Airbnb e poi dalla pandemia, che sconsigliava soggiorni in luoghi affollati”.

Ma oggi? Resta inevasa una domanda che l’host in tutto il mondo si porrebbe: “Perché dovrei portare io fuori la spazzatura?” In questo interrogativo potrebbe risiedere il nodo dell’inizio della crisi d’una formula che ha avuto il suo grande successo.