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Cercando un altro Egitto

Di
Redazione
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13 Dicembre 2020

di  Giusy Clarke Vanadia

Ho vissuto in Egitto, al Cairo, tra il 1990 ed il 1995, dove lavoravo per conto del Ministero degli Esteri (MAE). Presidente della Repubblica Hosni Mubarak, eletto sette volte, che comandò, con un regime poliziesco, per 30 anni. Fui destinata in piena Guerra del Golfo, ma non provavo paura. Era tanta la voglia di abbracciare quella terra per via della mia passione per i Paesi arabi. Quella è una terra che puoi amare oppure odiare, visceralmente, non ci sono mezzi termini. C’erano italiani che vivevano con la valigia pronta ed il biglietto areo emesso, pronti per partire, in caso di necessità. Altri la valigia la fecero, dopo solo poche settimane di permanenza. Io che ero tra quelli che amavano ed amano l’Egitto, rimasi, nonostante le difficoltà di ogni genere

Un Paese pieno di contraddizioni, insidie e pericoli. Tante le malattie che alcuni tra i miei amici ed amiche contrassero. Dall’ameba, la più diffusa (ce l’hanno quasi tutti gli egiziani) all’epatite A ed E, alla bilharziosi, al tifo, anche casi di tubercolosi. Condizioni igieniche precarie e sporcizia ovunque, dai lussuosissimi hotel del quartiere di Zamalek a quelli più o meno poveri. Quando circoli per la città, ti può capitare di essere circondata da una mandria di cammelli o trovare l’esercito in tenuta antisommossa e non sai perché. Ricordo che una volta rimasi a lungo bloccata, con la mia auto, a piazza Tahrir per lo scoppio di una bomba. A quell’epoca ne scoppiavano, in media, tre al giorno.

Sono Paesi in cui non esiste lo Stato di diritto e la vita delle persone vale meno di niente. Chiunque può finire in prigione per sospetti risibili. E nessuno sa più nulla di te. Due miei amici ed un’amica, subirono questa sorte. Luis, che lavorava presso l’Ambasciata del Cile, Gianni per quella italiana e Liliane per quella francese. In tutti e tre questi casi, la liberazione avvenne per forte intervento delle rispettive Ambasciate. Le prigioni egiziane sono luoghi di tortura e barbarie. Come afferma la giornalista Laura Cappon, esperta di questioni egiziane. La censura di ogni organo d’informazione è totale.

IL CASO DI PATRICK ZAKI  

In questi giorni l’Egitto è venuto alla ribalta non per i suoi straordinari tesori storico-monumentali ed archeologici, tantomeno per l’ineguagliabile patrimonio naturale dell’Alto Egitto e di tutta la Valle del Nilo, ma per le drammatiche vicende di due studenti ricercatori, Patrick Zaki e Giulio Regeni, le cui storie sono simili e diverse, allo stesso tempo.

Patrick Zaki, attualmente rinchiuso nella prigione di Tora, soprannominato “la tomba”, come riferisce Laura Cappon, è attualmente rinchiuso in una cella di plexigas, da dieci mesi, che contiene 699 detenuti, tutti in custodia cautelare (che può protrarsi fino a due anni), quindi senza processo e possibilità di difendersi dalle accuse, con difficoltà di utilizzo di servizi igienici.

Zaki è un giovane studente di religione copta. I Copti sono un’antichissima comunità cristiana della Chiesa ortodossa, fortemente vessata ed emarginata nel Paese. Basti pensare che ad un “copto” non è permesso partecipare alla vita pubblica o ricoprire cariche politiche, che le loro Chiese sono oggetto di continue aggressioni e minacce.

Patrick, arrestato al suo arrivo all’aeroporto del Cairo, stava svolgendo un master sulla questione femminile e di genere presso l’Università di Bologna. Tutti elementi che lo rendono assai inviso al sanguinario regime del dittatore Al Sisi. La sua purezza d’animo si evince proprio da questo suo ingenuo ritorno a casa. Il suo caso, ha sollevato una mobilitazione planetaria, dai compagni e docenti di Bologna, ad Amnesty ed altre organizzazioni umanitarie.

In questo quadro drammatico, il governo italiano ed il ministro degli esteri tacciono vergognosamente e continuano ad intrattenere rapporti commerciali con l’Egitto. Ci vorrebbe, invece, un segnale significativo quale il conferimento della cittadinanza a Zaki, il ritiro dell’Ambasciatore italiano, e, soprattutto, quantomeno la minaccia d’interruzione degli affari commerciali con Al Sisi. Affari bagnati di sangue innocente.

IL CASO DI GIULIO REGENI

Diversa è la storia di Giulio Regeni, studente dell’Università di Cambridge, mandato al Cairo per svolgere una ricerca sul sindacato. Chiunque abbia una minima conoscenza dell’Egitto (Giulio non ce l’aveva), sa bene che il sostantivo “sindacato” equivale ad una bestemmia in un Paese in cui non esistono diritti. Invece, lo sapevano certamente le professoresse egiziane dell’Università inglese che non hanno mai pronunciato nemmeno una parola di solidarietà per la tragica vicenda. Consapevolmente, mandarono Giulio al martirio. Una morte sopraggiunta dopo giorni e giorni di torture disumane e raffinatissime che resero il suo corpo irriconoscibile alla famiglia.

Anche in questo caso, le mobilitazioni non hanno sortito alcun effetto. Il governo italiano ed il ministro Di Maio, muti come pesci. L’Italia fa affari con chi massacra i suoi cittadini. Lo sbigottimento è totale.

Ancora più sconvolgenti, le affermazioni del Presidente Macron che ha appena incontrato Al Sisi e ribadito che la Francia non condivide la politica sui diritti umani dell’Egitto, ma che continuerà ad intrattenere rapporti commerciali con quel paese. Il pretesto è sempre lo stesso, la lotta al terrorismo.

UNA TERRA MAGICA  PIENA DI CONTRADDIZIONI

Come si fa, Vi chiederete, ad amare un Paese così? Una terra dove pochi possiedono ricchezze immense e la maggioranza della popolazione è decimata dalla miseria.

L’Egitto è una terra magica, depositaria di una storia antichissima iniziata oltre cinquemila anni addietro. Fu culla del primo Cristianesimo con S. Antonio abate, fondatore del monachesimo cristiano al quale è dedicato il primo monastero della Cristianità, in mezzo al deserto. L’Egitto è il Paese delle Oasi, dei tesori di Luxor, Abu Simbel, della magica Aswan. Alessandria sul Mar Mediterraneo, una delle sette meraviglie del mondo antico, la mitica la foce del Nilo. Il Cairo, una megalopoli di oltre nove milioni e mezzo di abitanti, dall’aria irrespirabile a causa dello smog, dal ricco quartiere di Ma’adi, al poverissimo Imbaba con le sue case galleggianti. Il Cairo delle magnifiche moschee e della Città vecchia.

Impossibile enumerare tutte le comunità straniere presenti al Cairo, provenienti da ogni parte d’Europa e del mondo. Per tutto questo il Cairo è denominato “Om el Dounia”, Madre del mondo. Una città cosmopolita dove un egiziano di cultura media parla almeno tre lingue, dove la gente comune ha un cuore grande. Dove si può interagire ed intrecciare rapporti di amicizia con persone di tutto il mondo.

Nel nome di Patrick e di Giulio, dobbiamo sperare. E’ necessario, ancora una volta, richiamare alle proprie responsabilità il Presidente del Consiglio ed il Ministro Di Maio, ad essere protagonisti di uno scatto di orgoglio, di uscire da un silenzio ormai agghiacciante ed alzare la voce per chiedere giustizia per due ragazzi colpevoli solo di essere puri.