E’ incostituzionale l’inclusione delle accise nel contributo straordinario di solidarietà del 2022 a carico delle imprese energetiche. Lo ha sancito la Corte costituzionale, con una sentenza depositata oggi, con la quale ha esaminato le questioni sollevate dalle Corti di giustizia tributaria di Milano e di Roma in riferimento al contributo straordinario di solidarietà istituito per l’anno 2022 dall’articolo 37 del decreto legge 21/2022, dichiarando l’illegittimità di questa norma, ma solo nella parte in cui non esclude dalla base imponibile le accise versate allo Stato e indicate nelle fatture attive.
Anche “nella materia tributaria e persino quando, in momenti particolari, siano implicate straordinarie e preminenti esigenze della collettività”, spiega Palazzo della Consulta in una nota, la Corte “è chiamata comunque ad assicurare, nella valutazione del bilanciamento operato dal legislatore, quanto meno il rispetto di una soglia essenziale di non manifesta irragionevolezza, oltre la quale lo stesso dovere tributario finirebbe per smarrire la propria giustificazione in termini di solidarietà, risolvendosi invece nella prospettiva della mera soggezione al potere statale”. Secondo la pronuncia, “‘non appare arbitrario che il fortissimo aumento dei prezzi dei prodotti energetici nell’eccezionale situazione congiunturale’ che si è verificata in conseguenza dell’invasione russa dell’Ucraina e lo specifico mercato in cui le imprese energetiche hanno operato siano stati identificati dal legislatore, al verificarsi di una serie di condizioni, come un indice rivelatore di ricchezza”. La sentenza ha precisato che sarebbe stato “certamente fisiologico” fare riferimento ai dati dichiarati ai fini dell’imposta sui redditi delle società (Ires), “dal momento che la maggiore ricchezza è facilmente riscontrabile in termini di surplus di utili conseguiti”; al contrario, secondo la Corte, “l’aver mutuato le regole applicative di un’imposta indiretta come l’Iva non garantisce con altrettanta sicurezza il risultato di intercettare la maggiore ricchezza”. Tuttavia, rileva Palazzo della Consulta, erano in gioco circostanze straordinarie che hanno qualificato “in termini del tutto ‘sui generis’ l’intervento normativo”: da un lato, la situazione di crisi, che, se non fosse stata “affrontata rapidamente”, avrebbe potuto “avere gravi effetti negativi sull’inflazione, sulla liquidità degli operatori di mercato e sull’economia nel suo complesso” e, dall’altro, la circostanza che, in quel particolare contesto, i dati desumibili dai saldi Iva erano gli unici disponibili e, quindi, i soli che avrebbero potuto essere considerati dal legislatore per intervenire tempestivamente a finanziare, con una nuova e temporanea imposta, l’insieme di interventi urgenti, a sostegno di famiglie e imprese, previsti dal dl 21/2022.
“Non vi era, pertanto – osserva la Corte – la possibilità di riferirsi ai più adeguati dati rilevanti ai fini dell’Ires, perché sarebbe stato necessario, per intercettare la maggiore forza economica dell’anno 2022 (in cui si è verificata la prima impennata dei prezzi), attendere che le imprese provvedessero a chiudere i bilanci societari: l’ammontare degli utili, pertanto, avrebbe potuto essere contabilizzato solo dopo la conclusione dell’anno di imposta in quel momento in corso, e quindi nel 2023″: è solo “tenendo conto del carattere del tutto particolare del contesto in cui è stato calato il temporaneo intervento impositivo che, quindi, può eccezionalmente ritenersi non irragionevole lo strumento utilizzato dal legislatore, ovvero il riferimento ai dati relativi alla determinazione dell’imponibile dell’Iva, nonostante il loro oggettivo grado di approssimazione nell’intercettare la maggiore forza economica delle imprese energetiche”. Palazzo della Consulta sottolinea che “resta però fermo che la straordinarietà del momento e la temporaneità della imposizione non possono essere ritenute una giustificazione per l’introduzione di qualsiasi forma di imposizione fiscale: pertanto l’inclusione nella base imponibile delle accise versate allo Stato e indicate in fattura, che per alcuni soggetti ‘vanno ad aumentare, anche in misura considerevole, la base imponibile del contributo straordinario di solidarietà, senza che tale aumento possa in alcun modo dirsi rappresentativo di una maggiore ricchezza’, compromette ‘radicalmente’, su questo aspetto, la ragionevolezza della disposizione censurata”.