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Corte Ue: avv. generale su Enel, possibili illeciti da Google

Di
Lucia Cutrona
|
5 Settembre 2024

Il rifiuto da parte di Google di concedere a terzi – in questo caso il gruppo Enel – l’accesso alla piattaforma Android Auto potrebbe violare il diritto della concorrenza. Lo afferma l’avvocata generale della Corte di Giustizia dell’Ue nell’ambito del ricorso di Enel contro il rifiuto di concedere a Enel X l’accesso al sistema operativo Android Auto per implementarvi la propria applicazione, JuicePass (creata nel 2018), che offre una serie di funzionalità per la ricarica dei veicoli elettrici.
Google ha motivato il suo rifiuto affermando che, in assenza di un template specifico, le applicazioni di media e di messaggistica erano le uniche applicazioni di terzi compatibili con Android Auto. Google ha giustificato il suo rifiuto sulla base di preoccupazioni relative alla sicurezza e alla necessità di allocare in modo razionale le risorse necessarie per la creazione di un nuovo template.
L’Autorità italiana garante della Concorrenza ha concluso che il comportamento di Google violava il diritto della concorrenza dell’Unione europea. Essa ha affermato che, ostacolando e procrastinando la pubblicazione di JuicePass su Android Auto, Google aveva abusato della sua posizione dominante. Google ha contestato tale decisione dinanzi al Consiglio di Stato italiano, che si è rivolto alla Corte di giustizia.
Nelle sue odierne conclusioni, l’avvocata generale Laila Medina esamina se la causa ricada nella tradizionale giurisprudenza applicabile al rifiuto da parte di un’impresa dominante di concedere l’accesso – ossia le condizioni Bronner.
L’avvocata generale valuta poi se gli obblighi di accesso, in termini di interoperabilità, impongano alle imprese dominanti di tenere un comportamento attivo, come la creazione del software necessario. L’avvocata generale Medina conclude che le condizioni enunciate nella sentenza Bronner non si applicano quando la piattaforma alla quale si chiede di accedere non è stata sviluppata dall’impresa dominante per il suo uso esclusivo, ma è stata concepita e progettata al fine di essere alimentata da applicazioni di sviluppatori terzi. In una situazione del genere, non è necessario dimostrare l’indispensabilità di detta piattaforma per il mercato vicino. Per contro, un’impresa abusa della sua posizione dominante se adotta un comportamento consistente nell’escludere, ostacolare o ritardare l’accesso dell’applicazione sviluppata da un operatore terzo alla piattaforma, a condizione che il comportamento in parola sia idoneo a produrre effetti anticoncorrenziali a danno dei consumatori e non sia oggettivamente giustificato.
Il rifiuto da parte dell’impresa dominante di concedere a un operatore terzo l’accesso a una piattaforma come quella in causa può essere oggettivamente giustificato qualora l’accesso richiesto sia tecnicamente impossibile o qualora esso possa incidere, da un punto di vista tecnico, sulle prestazioni della piattaforma o porsi in contrasto con il suo modello economico o con la sua finalità economica. Tuttavia, il semplice fatto che, al fine di concedere l’accesso a tale piattaforma, l’impresa dominante debba, oltre che prestare il proprio consenso, sviluppare un template del software che tenga conto delle esigenze specifiche dell’operatore che chiede l’accesso non può di per sé giustificare un diniego di accesso, a condizione che sia concesso un lasso di tempo adeguato per lo sviluppo in parola e che quest’ultimo sia oggetto di un adeguato compenso a favore dell’impresa dominante. Entrambi gli elementi devono essere comunicati dall’impresa dominante all’operatore che chiede l’accesso all’atto di tale richiesta.
Il diritto della concorrenza dell’Unione non impone un obbligo di definire ex ante criteri oggettivi per l’esame delle richieste di accesso a una piattaforma. Solo nell’ambito di più richieste presentate contemporaneamente l’assenza di tali criteri potrebbe costituire un elemento da prendere in considerazione per valutare il carattere abusivo della condotta contestata all’impresa dominante, quando ciò porta a una situazione di eccessivo ritardo nella concessione dell’accesso o a un trattamento discriminatorio tra i soggetti che hanno presentato richieste contemporanee. (AGI)

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