DAL TEMPO DELLE MELE AL TEMPO DELLE FRAGOLE
di Antonino Gulisano
La Democrazia non è uno spettacolo per il pubblico. Se i cittadini non partecipano, non funziona. La democrazia è stata inventata per decidere attraverso la partecipazione e non per partecipare a prescindere dalla decisione.
La questione prioritaria è la riapertura di uno spazio dell’azione politica. Gli ultimi anni, infatti, ci hanno consegnato una politica ormai sottratta ai cittadini, molto ridotta nella dimensione della sua operatività e soprattutto stravolta nella sua funzione di pubblica utilità per il governo del bene pubblico e del vivere associato.
Si può accettare lo spettacolo dei vertici delle istituzioni in attesa del voto grottesco? L’estremo omaggio alla pseudo – democrazia diretta, augurandoci che sia l’ultimo.
Il Parlamento più populista, antieuropeista e antiatlantista della storia d’Italia, uscito dalle elezioni del 2018 con una larghissima maggioranza filo-putiniana e para-orbaniana che in quanto tale, e a dimostrazione della tesi, cominciava la legislatura spartendosi tutte le cariche istituzionali e di controllo, dai presidenti fino ai questori di Camera e Senato – si appresta a esprimere una maggioranza schiacciante a sostegno dell’esecutivo più europeista e atlantista che la Repubblica abbia mai visto.
Per averne l’ultima certificazione, le massime istituzioni e gli italiani tutti hanno dovuto aspettare il responso della piattaforma Rousseau, oscuro marchingegno proprietà di un’associazione presieduta e strettamente controllata dal privato cittadino Davide Casaleggio. Singolare, e speriamo ultimo, tributo che la riaffermazione dei principi della civiltà occidentale, della razionalità moderna e della politica democratica dovrà pagare.
Con buona pace degli irriducibili difensori dell’estrema trincea populista, come Alessandro Di Battista, impegnato in una sorta di consultazione parallela, da cui ha annunciato il suo voto contro il governo (su Rousseau, ovviamente), proprio mentre i Cinquestelle incontravano Mario Draghi a Montecitorio.
L’ultimo colpo di teatro, con Beppe Grillo a spiegare in un video, alle dieci disera, che Draghi non gli sembrava avere ancora le idee chiare e che quindi bisognava avere pazienza, la votazione era sconvocata, se ne sarebbe riparlatopiù avanti. Evidentemente le fragole erano acerbe. Uno spettacolo comunque piuttosto ridicolo, che sarebbe umiliante anche solo far finta di analizzare e approfondire da qualunque punto di vista.
Per far ripartire la macchina del voto su Rousseau è bastata la conferma della volotà di Mario Draghi di istituire il super-ministero della transizione ecologica, accorpando ambiente, sviluppo economico e infrastrutture, venuta non direttamente dalla voce del Presidente del Consiglio incaricato – come Grillo aveva richiesto – ma per via traversa, attraverso la dichiarazione della presidente del WWF Italia, Donatella Bianchi, all’uscita dalla consultazione tra Draghi e le associazioni ambientaliste.
Possiamo accettare tutto questo, ancora una volta, anche se non dovremmo. Non dovremmo farlo perché sta proprio qui, nel modo in cui raccontiamo e discutiamo di cose simili, l’enorme differenza che passa tra i Paesi che il populismo lo hanno combattuto e sconfitto e un Paese come l’Italia, dove continuiamo a illuderci che la via omeopatica ce ne tirerà fuori senza traumi, senza scossoni e soprattutto senza che nessuno perda la faccia. Non dovremmo farlo ma accetteremo anche questo, ancora una volta. Ci consola, se non altro, sapere che (forse) è l’ultima.
Perché proprio ora lo spappolamento del Movimento cinque stelle, con l’esplosione di tutte le contraddizioni accumulate in questi anni, rende ancora più assurdo il sacrificio e più pesante il tributo, per il nostro senso critico, per la dignità delle istituzioni e per la decenza del discorso pubblico, sta per implodere come le Stelle dell’Universo.
Pericle, nel discorso agli Ateniesi, 431 a.C. diceva:
“Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza. Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia. Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore. Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero”.
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Source: Da QdC ad Imprese
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