Mese dopo mese le rate dei mutui a tasso variabile continuano a lievitare e il Governo inizia a preoccuparsi del potenziale rischio pignoramento che incombe su molte famiglie. Il timore di assistere a rate dei mutuatari sempre più insostenibili, ha spinto il ministro Giorgetti a chiedere all’Abi l’avvio di un tavolo per trovare soluzioni ed evitare che le famiglie indebitate si trovino in difficoltà.
Inoltre inizia a concretizzarsi il rischio credit crunch, con i finanziamenti a famiglie e imprese che dal picco di 1.756 miliardi dell’agosto 2022 sono via via scesi a 1.694 miliardi a fine maggio scorso. Un calo che per i banchieri è dettato dalla minore domanda di prestiti e non da una stretta creditizia lato offerta. Ma con i tassi sulle nuove erogazioni di mutui alle famiglie che a maggio ha toccato il valore medio del 4,24% e quello dei prestiti alle imprese che ha sfiorato il 5%, c’è poco da interrogarsi sulla genesi della brusca frenata registrata dai nuovi finanziamenti.
Intanto secondo l’ultimo bollettino mensile dell’Abi la remunerazione della liquidità che giace sui conti correnti a maggio 2023 è salita allo 0,32% lordo, dallo 0,29% del mese precedente. Un tasso di remunerazione che, anche considerando il totale depositi (certificati di deposito e depositi a risparmio insieme ai conti correnti), comunque non supera lo 0,68%. E il margine di interesse, ovvero di guadagno per le banche dato dalla differenza tra il tasso medio applicato sui prestiti e quello medio riconosciuto sulla somme raccolte dai clienti, continua a crescere e a maggio è arrivato a 325 punti base.
La cosiddetta normalizzazione dei tassi, quindi, sta continuando a viaggiare a velocità troppo sostenuta per i prestiti e più che rallentata per i depositi. Correttivi sono auspicati e attesi da più parti. Su questo le banche, pur senza compromettere i dividendi dei soci e una loro adeguata e sostenibile redditività (anche prospettica), hanno ampi spazi di intervento per agire con maggiore equità verso i clienti.
Famiglie e imprese si attendono un’applicazione più moderata dei nuovi tassi sui prestiti. Mentre sulle giacenze a vista sui conti correnti, non reclamano tassi da depositi a scadenza, ma un loro adeguamento ai nuovi scenari, sì. A cominciare, innanzitutto, dal ripristino contrattuale dei precedenti tassi azzerati e delle spese aumentate con modifiche unilaterali – ai sensi dell’art. 118 del Tub – adducendo negli ultimi anni come giustificato motivo i tassi negativi. Che non ci sono più. E ricordano che a vista le giacenze sui conti ci sono sempre state.
Anche negli anni pre-crisi 2007 e 2008, quando non c’erano troppi surplus di liquidità parcheggiati, ma i tassi di remunerazione contrattualizzati erano in ogni caso pari, rispettivamente, all’1,65 e all’1,53% secondo i dati di Banca d’Italia. E se le banche continuano a fare su questo fronte orecchie da mercante, per smuoverle, da queste pagine non ci stancheremo di chiedere un chiarimento normativo sull’art. 118 del Tub (o ministeriale, come fece il Mise nel 2007) che confermi l’obbligo, già implicito nel principio di lealtà e buona fede, di ripristinare le precedenti condizioni qualora il giustificato motivo addotto per peggiorarle venga meno. Come è successo con i tassi negativi.