Più capitale nelle società tra professionisti. La maggioranza delle quote delle Stp può essere, infatti, di proprietà di non professionisti. Questi potranno detenere, quindi, anche più dei due terzi del capitale della società. Al contrario, le deliberazioni della Stp dovranno essere assunte da una maggioranza qualificata di soci professionisti, pena la cancellazione della società dal registro tenuto dall’albo di appartenenza. È quanto stabilito dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella delibera del 22 maggio 2019, pubblicata ieri nel bollettino dell’Authority.
La decisione dell’Agcm è contraria a quella presa lo scorso anno dal Consiglio nazionale dei commercialisti che, con l’informativa n. 85 del 5 novembre 2018, aveva affermato che la maggioranza dei due terzi dovesse valere sia per teste che per quote (l’informativa del Cndcec faceva riferimento all’ordinanza del tribunale di Treviso n.cron. 3438/2018 depositata lo scorso 20 settembre). Nello spiegare la sua posizione, l’Autorità ricorda anzitutto la norma costitutiva delle Stp (legge di stabilità 2012); in particolare viene sottolineato il passaggio per cui «in ogni caso il numero di soci professionisti e la partecipazione capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci: il venir meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società». La questione, tuttavia, riguarda la cumulabilità dei due requisiti: «l’Autorità è venuta a conoscenza dell’esistenza di interpretazioni da parte di federazioni di ordini professionali in base alle quali i due requisiti di partecipazione (maggioranza dei due terzi in termini di numero dei soci professionisti e di partecipazione al capitale della società) devono ricorrere cumulativamente, a prescindere da chi esercita l’effettivo controllo sulla società». In generale, ricordano dall’Agcm, le federazioni degli ordini lamentano l’esistenza di dubbi interpretativi sull’argomento.
Comunque «l’Autorità è dell’avviso che, al fine di consentire ai professionisti di cogliere appieno le opportunità offerte dalla normativa in materia di Stp e le relative spinte pro-concorrenziali, vada privilegiata l’interpretazione della norma secondo la quale i due requisiti non vengano considerati cumulativi». In questo senso, la maggioranza di professionisti rimane obbligatoria sulle deliberazioni da assumere, ma non sulle quote societarie. L’obbligo, però, non comporta necessariamente che il numero di soci professionisti sia maggiore per testa rispetto ai soci non professionisti, in quanto «possono essere adottati dei patti parasociali o delle clausole statuarie che garantiscano ai professionisti di esercitare il controllo della società, anche nella situazione in cui essi siano in numero inferiore ai due terzi». In questi casi, ad esempio, possono essere previste delle limitazioni al diritto di voto dei non professionisti, oppure l’ampliamento di quello dei professionisti, garantendogli forme di voto multiplo. Nel motivare la sua decisione, l’Autorità afferma che «l’interpretazione data da alcuni consigli e federazioni può determinare limitazioni alla concorrenza, in quanto si traduce in un ingiustificato ostacolo alla possibilità per i professionisti di organizzarsi in Stp». In pratica, vietare che la maggioranza di quote resti in capo ad un soggetto non professionista, riduce le possibilità di aggregarsi in Stp e, quindi, di goderne dei vantaggi.
Fonte: Italiaoggi.it