Vino e blockchain, ci prova anche Ibm
AGI – Quella del vino è una filiera complessa. C’è la qualità della materia prima, ma anche processi di lavorazione diversi e regole precise. Obbedire a un disciplinare di origine vuol dire distinguersi per caratteristiche e appeal commerciale. E poi il vino è un prodotto in continua evoluzione, che non si ferma una volta imbottigliato e richiede standard di conservazione per tutta la sua esistenza. Tutti questi elementi portano a un’esigenza: controllare il percorso dalla vite al calice nel modo più rigido possibile. Per Ibm una possibile soluzione è l’utilizzo della blockchain: con eProvence ha lanciato VinAssure, una piattaforma che ambisce a tracciare l’intero processo produttivo.
Come funziona VinAssure
Ibm ci mette il cloud e la tecnologia della sua Blockchain Transparent Supply (già utilizzata in altre filiere); eProvenance, azienda specializzata nel monitoraggio e nell’analisi della catena di distribuzione del vino, integra la soluzione con il suo algoritmo proprietario, che valuta diversi elementi e definisce un punteggio (da zero a cento) per identificare eventuali cambiamenti nella qualità del prodotto. Con un QR code sulla bottiglia, sarà quindi possibile conoscere la provenienza del vino, i profili aromatici e gli standard normativi.
Il primo brand ad aver aderito è De Maison Selections, importatore statunitense di vini, sidro e liquori di produttori indipendenti spagnoli e francesi. VinAssure è stata adottata anche da Ste. Michelle Wine Estates (la terza azienda vinicola premium negli Stati Uniti per dimensioni) e da Maison Sichel, viticoltore e venditore di Bordeaux.
Vino e blockchain in Italia
“eProvenance monitora i vini italiani provenienti da più cantine per vari importatori – spiega Fabio Malosio, Blockchain Solution Leader per IBM Italia – ma al momento non ci sono trattative con cantine italiane riguardo a VinAssure. Questo però è il nostro primo annuncio e siamo ancora all’inizio del processo”. VinAssure non è il solo progetto che va in questa direzione: nel 2017 EY ed Ez Lab hanno creato la Wine Blockchain EY, adottata dalla foggiana Cantina Placido Volpone (uno dei soci è l’attore Michele), che così è diventata la prima al mondo a tracciare la filiera di un vino.
Integrità e sicurezza dei dati
Raj Rao, General Manager Ibm Blockchain Platforms, è convinto che “una registrazione digitale non modificabile delle transazioni” rappresenti “il futuro della movimentazione delle merci sensibili. Il consumatore ottiene così maggiori dettagli sul vino acquistato e può constatare se il profumo e il sentore riflettano l’intenzione e la cura con le quali è stato prodotto”.
Vero, anche se con un paio di avvertenze. La prima: la conservazione è fondamentale per mantenere integro un vino, ma anche nelle migliori cantine capitano inconvenienti. Per quanto la tecnologia aiuti, il vino non è matematica. La seconda: non essendo un dato creato ma inserito su blockchain, c’è sempre un margine di esposizione all’attività fraudolenta. Banalmente: se dichiaro che un vino è Doc quando non lo è, la blockchain non può compiere una verifica e smentirmi all’istante.
Quello che potrebbe fare, secondo Ibm, è evidenziare eventuali dubbi: “Ibm Blockchain Transparent Supply – spiega Malosio – tiene traccia dei dati che vengono sottoposti alla soluzione e mette in evidenza i casi in cui si verificano delle incongruenze, come ad esempio dati che vengono alterati o l’utente che mostra un comportamento incoerente”.
In questo modo si farebbe leva su un circolo virtuoso, nel quale il responsabile di errori o frodi sarebbe identificabile (e quindi punibile con l’esclusione dalla filiera): “Se si verificano attività fraudolente, o anche semplicemente accidentali che non vengono inviate a IBM Blockchain Transparent Supply – continua Malosio – il sistema mostrerà una catena incompleta, dando alla rete la possibilità di capire dove può essersi verificato un problema in modo da poterlo risolvere”.
Perché al vino serve una filiera certificata
In altre parole: la blockchain non è, di per sé, la soluzione: è uno strumento che potrebbe funzionare solo se stimola la collaborazione tra produttori, venditori, importatori, trasportatori, distributori, ristoratori e rivenditori. Obiettivo non semplice, in un mondo – quello del vino – caratterizzato (soprattutto in Italia) da frammentazioni e campanilismi.
In teoria, però, è una filiera in cui la trasparenza dovrebbe convenire a tutti i produttori seri. Non tutti i nasi e non tutti i palati sono in grado di avvertire l’enorme differenza che passa tra un vino di qualità (che richiede tempo e costi più alti) e uno mediocre o scadente.
Le cantine e i consorzi di tutela hanno quindi tutto l’interesse ad agevolare la nascita di filiere affidabili e spingere una comunicazione diretta con i consumatori (disposti a pagare di più per un prodotto certificato, trasparente e con una storia da raccontare).
Le truffe in bottiglia
Oltre alla convenienza c’è poi l’urgenza. Ogni anno si scoprono truffe che sfruttano nomi di grande appeal. Nel 2014 oltre 220 mila bottiglie tra Brunello di Montalcino e Rosso di Montalcino sono state sequestrate dalla Guardia di Finanza di Siena per manipolazione della filiera. Nel 2015, 450 bottiglie di vino spagnolo erano state spacciate per Brunello e Amarone della Valpolicella.
Nel 2019, l’operazione “Ghost Wine” ha smascherato quattro aziende che producevano vino a basso costo (utilizzando anche miscele zuccherine da canna da zucchero e barbabietola) e lo commercializzavano come biologico, Doc o Igt.
Secondo i dati dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agro-alimentari, il settore vitivinicolo è quello che concentra la maggior parte dei controlli (18.179 nel 2019). Nel 15% delle dei casi sono stati individuati prodotti irregolari.
E delle 395 notizie di reato in tutti i comparti agroalimentari, oltre la metà (201) hanno riguardato il vino. Cui si sommano 2.138 contestazioni amministrative (sulle 4.446 complessive) e 298 sequestri (per un valore di 278 milioni di euro).
Si va dalla commercializzazione fraudolenta di vini Dop e Igp non conformi alla sofisticazione con l’aggiunta di acqua e zuccheri, passando per l’assenza di registri. E poi c’è il tema della contraffazione all’estero e sul web di prodotti italiani tutelati.
Tra il 2015 e il 2019, l’Ispettorato ha compiuto 3.276 interventi: quasi la metà riguardano il vino. In particolare 989 il Prosecco (che doppia il Parmigiano Reggiano), 283 i Wine Kit e 176 l’Amarone della Valpolicella.
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Fonte: economia agi
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